Un bilancio dei comuni umbri a rifiuti zero

Un bilancio dei comuni umbri a rifiuti zero

31 Maggio 2021 Off   Annarita Guarducci

ndispensabile premessa a questo articolo: si tratta di un tentativo di ricostruzione giornalistica dello scenario economico (e merceologico) costituito dalla gestione dei cosiddetti “rifiuti solidi urbani” che, da qualche anno, un numero crescente di persone definisce “materie prime secondarie”. Prenderemo in considerazione soltanto i 18 comuni, dei 92 in Umbria, che hanno sottoscritto con una delibera l’impegno ad aderire alla strategia rifiuti zero. Cominciamo dai soldi che nel caso specifico sono fondamentali.

Con l’obiettivo di stimare un probabile valore economico dello sforzo, chiesto ai cittadini, di raccogliere i rifiuti differenziandoli, sono stati consultati svariati siti internet: pressoché impossibile (almeno in questa occasione) estrarre un dato univoco sulle quotazioni dei materiali differenziati che entrano nei circuiti produttivi come “materie seconde”.

La soluzione è stata quindi di elaborare delle “medie” plausibili che comunque si spera servano a ”provocare” qualche reazione chiarificatrice negli ambienti dove questi dati sono tenuti sotto stretta sorveglianza. Sono gli ambienti costituiti dalle aziende private che, a vario titolo, producono o ritirano “materie seconde” (in Umbria, a quanto risulta consultando l’Albo nazionale gestori ambientali, ce ne sono oltre 600), i titolari dei servizi di igiene urbana e gli uffici delle amministrazioni locali (regioni e comuni) preposti a indirizzarne l’attività.

Vale a dire: l’origine prima dei dati viene dalle stesse fonti (soprattutto per quello che riguarda i volumi dei materiali di cui si ragiona) alimentate dai soggetti che quei materiali raccolgono e trasportano, convogliandoli nei centri di raccolta; qui vengono pesati e avviati alle varie piattaforme di trattamento. Il valore economico di cui si diceva non è qualcosa di astratto, ma una voce in entrata nel bilancio del

Comune che i consorzi obbligatori riconoscono. Questi hanno sigle ormai conosciute dal grande pubblico per le frequenti campagne promozionali sulla propria attività: (Conai, Comieco, Cial, Corepla, Coreve e altri) e sono regolatori nella redistribuzione di quelle materie prime secondarie verso le industrie che le utilizzano nelle loro produzioni. Per quel ruolo i consorzi riconoscono contributi ai comuni in ragione delle tonnellate di materia secondaria idonea (ovvero con un max del 17% di componente impropria) proveniente dalla Raccolta Differenziata (RD). Al riguardo merita di venir citato il caso di Coreve (vetro) che nel 2018 ha corrisposto ai comuni italiani 78,9 milioni di euro. Quindi, a fronte delle maggiori spese, sempre lamentate dai gestori, per avere una RD più spinta e di qualità c’è anche un tornaconto economico in entrata, invece poco reclamizzato, che potrebbe andare a compensare eventuali (ma sempre sicuri) aumenti della TARI. Da non dimenticare che i fondi gestiti dai consorzi derivano dalla quota del Contributo ambientale Conai (CaC) che ogni distributore di materiali (o manufatti) da imballaggio urbano include (per il D.lgs. 152/2006) nelle fatture di vendita cosiddetta in “prima cessione”, un costo che viene “internalizzato” nel prodotto e sopportato, in ultima istanza, dall’acquirente. Ed è proprio questo bilancio che si tenta di quantificare perché crediamo che l’interesse primario dei cittadini non sia concentrato nelle galassie societarie (pubbliche o private) messe in piedi dai gestori, ma piuttosto su quanto aumenta ogni anno la TARI e su come le amministrazioni potrebbero intervenire presso i gestori per scongiurare gli aumenti.

A maggior ragione, crediamo, saranno sensibili a questo tema quelle amministrazioni che hanno già adottato la strategia rifiuti zero, dimostrando senso di responsabilità e lungimiranza nel voler rispettare le direttive europee.

Primo dei punti da chiarire: su quelle operazioni di pesatura dei materiali i cui risultati vengono annotati su appositi registri, non esistono notizie di verifiche periodiche da parte di soggetti terzi, perlomeno i risultati non sono mai stati resi pubblici. Tanto meno esiste notizia che sia stato ingaggiato un soggetto certificatore terzo da nessuno dei gestori attivi nel territorio regionale dell’Umbria. A questo proposito AURI (Autorità Umbra Rifiuti e Idrico) ci informa che in questa piccola regione ne esistono almeno otto; ma se ricongiungiamo i satelliti (Gesenu, Tsa, Sia, Ecocave) al pianeta di appartenenza (Gest srl) allora diventano quattro:

Subambito 1 (cioè l’Alto Tevere) con Sogepu e (Alta Umbria – Gubbio con Gesenu, Gualdo Tadino con Esa);

Subambito 2 (perugino, comprensorio Trasimeno, e la Media Valle del Tevere) con le varie compagnie del gruppo Gest;

Subambito 3 I territori della Valnerina con Foligno e Spoleto sono gestiti dalla Vus spa;

Subambito 4 in buona parte della provincia di Terni c’è il Raggruppamento temporaneo d’imprese (Rti), (Asm spa e Cosp Tecnoservice), Orvieto (con Sao). Sono soggetti, pubblici e privati, che costituiscono l’economia regionale garantita e finanziata dalla TARI, dunque è lecito aspettarsi un po’ di trasparenza.

Un quadro simile rafforza l’urgenza di un cambio radicale di prospettiva soltanto per immaginare una via d’uscita alla sempre più costosa gestione dei servizi di igiene urbana, in tutta l’Umbria. Nessun comune escluso. Senza considerare le linee di comportamento che l’Europa ha varato con le scelte di “economia circolare” più vincolanti che mai per poter usufruire dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Uno scenario che presenta un groviglio di nodi da sciogliere: gli apparati tecno-burocratici (con il pieno avallo della politica) da 20 anni mancano regolarmente gli obiettivi indicati dall’amministrazione statale (riduzione, differenziazione, riuso) con i fallimentari piani regionali sulla gestione dei rifiuti.

Gli stessi hanno legittimato l’innalzamento costante delle tariffe sulla base delle esigenze manifestate dalle società di gestione che dettano numeri e regole dei bilanci pubblici in materia erigendo un muro invisibile di connivenze che rendono impossibile applicare il sistema “puntuale” di tariffazione. Gli stessi uffici non hanno nulla da dire sulla partizione della componente fissa/variabile di cui si compone il costo del servizio, determinata secondo caratteristiche e dotazioni del gestore, superfici interessate e altre voci. Sia preso come esempio il caso di Perugia che segna un rapporto da 75/25.

È opinione comune che il 75 riconosciuto alla componente “fissa” rivela la natura di “tassa patrimoniale indiscriminata” in quanto viene determinata perlopiù dalla superficie degli edifici che usufruiscono del servizio. D’altra parte l’ipotesi viene confermata dall’art. 2 del regolamento per la TARI del comune di Perugia: “La TARI ha natura tributaria, non intendendosi con il presente regolamento attivare la tariffa avente natura corrispettiva di cui al comma 668 dell’articolo unico della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014)”. Quindi non ci sono né premi né punizioni, si tratta solo di decidere da cittadini se conviene di più l’uno o l’altro atteggiamento, al netto della coscienza civica.

In un quadro del genere spicca il tentativo che da 9 anni il Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero (Crurz) sta conducendo insieme a 18 amministrazioni comunali (con più della metà della popolazione regionale, vedi tabella), le quali hanno adottato una delibera che riconosce il valore delle politiche “rifiuti zero” impegnandosi ad azioni conseguenti nel loro territorio. Si tratta di amministrazioni locali i cui territori producono quasi il 56% di materia secondaria dell’Umbria ricavandone un corrispettivo stimato intorno al 4-5% che potrebbe annullare gli aumenti annuali della TARI e incentivare a migliorare, addirittura, per ridurla.

Nelle tabelle che sono state elaborate vengono ricostruiti gli scenari economici della spesa che ogni amministrazione deve affrontare annualmente e dei ristorni (potenziali) provenienti dai consorzi obbligatori di recupero: sono stati presi in considerazione quelli che trattano i volumi più consistenti di materie prime secondarie come carta, vetro, plastica, metalli. Quanto alle cifre si tratta di stime elaborate incrociando i dati presenti nei siti internet dei vari soggetti deputati.

Oltre alla attività di sensibilizzazione comune per comune ancora in corso è il caso di ricordare anche la proposta organica di gestione sostenibile dei rifiuti (disponibile in rete all’indirizzo https://drive.google.com/open?id=1Od-5bzoxu7MOPhw9ZnxW0MAL_PWK2GqS) elaborata nel corso di un impegnativo confronto tra le associazioni promotrici del Crurz e le decine di gruppi presenti in molte località dell’Umbria che è stata inoltrata all’Amministrazione regionale nell’aprile 2020 – sottoscritta da oltre 4.000 persone – nel tentativo di scongiurare la possibilità che nel redigendo Piano di Gestione dei Rifiuti si voglia battere una strada per niente sostenibile. Dopo 13 mesi non una voce si è levata dalle segrete stanze di Palazzo Donini su quelle 4.000 firme…

alla stesura dell’articolo ha collaborato Andrea Chioini