Riuscirà il sesto governo Netanyahu a squarciare il velo sulla vera natura di Israele?

Riuscirà il sesto governo Netanyahu a squarciare il velo sulla vera natura di Israele?

30 Gennaio 2023 Off   Patrizia Cecconi

Da febbraio dello scorso anno tutta l’attenzione dei media, e per certi versi non poteva non essere così, si è totalmente concentrata sulle vicende della guerra scoppiata in Ucraina, dei suoi effetti destabilizzanti sullo scenario geopolitico mondiale, mettendo la “sordina” alle tante altre irrisolte questioni che attraversano altre aree del pianeta e che, lentamente, stanno scivolando in un pericoloso cono d’ombra, dove tutto è concesso e tutto può accadere. Con questo primo contributo di Patrizia Cecconi, dedicato all’analisi della situazione in Palestina alla luce dei recenti risultati delle elezioni israeliane, intendiamo, come micropolis, riaccendere i riflettori e rianimare un dibattito ed una presa di coscienza attorno a queste dimenticate situazioni.

opo i risultati dell’ennesima tornata elettorale e il conseguente incarico a formare il governo, affidato al politico pluri-incriminato (per frode, corruzione e abuso d’ufficio) ma pur sempre amato e votato da un terzo dell’elettorato israeliano, ecco che per la sesta volta la poltrona di primo ministro è tornata a Benjamin Netanyahu
La formazione dell’esecutivo non è stata operazione facile, ma l’intrepido Bibi, che per quella poltrona si dice avrebbe fatto l’impensabile e – visti i crimini interni e soprattutto esterni di cui si è impunemente macchiato – noi ci crediamo, è riuscito, a pochi minuti dalla scadenza del mandato, a formare il nuovo governo. Il peggior governo che si potesse immaginare, almeno finora, portandoci dentro razzisti convinti e figure a lui particolarmente affini per problemi giudiziari come Arye Dery, già condannato per corruzione e frode fiscale che, forse, sarà la “bomba a orologeria” – come scrive Haaretz – che lo butterà giù dalla sua ambita poltrona.
Tra i ministri designati, vuoi per condivisione di valori, vuoi per obblighi di coalizione elettorale, emergono politici tristemente famosi per quel particolare legame tra il razzismo e la religione che, consacrandolo, lo rende una sorta di santa missione da rivendicare con orgoglio. Ne è esempio il leader di “Potenza ebraica”, Itamar Ben Gvir, sfrontato fan del criminale pluriomicida Baruch Goldenstein. O Bezalel Smotrich, fascista dichiarato con spudorata fierezza. Un governo, insomma, che nel gioco della relatività fa sembrare Netanyahu un innocuo impiegatuccio di banca e il Likud un partito liberale. Ma, a scanso di equivoci, Netanyahu ha dichiarato più esplicitamente che mai che lui onorerà la missione di “riprendersi la terra di Israele” palmo a palmo.
Il quotidiano Haaretz, l’espressione più significativa della stampa progressista di Israele, ospita articoli di grande preoccupazione per le sorti che aspettano il Paese grazie al nuovo esecutivo. I media cosiddetti progressisti italiani esprimono la stessa preoccupazione, ma ci si può scommettere che presto i “nostri” troveranno tutto normale e seguiteranno a gratificare Israele dell’ormai trita definizione di unica democrazia del Medio Oriente come se, non essendoci in M.O. governi democratici, a Israele appartenesse di diritto tale attribuzione pur avendo di democratico giusto le urne dove infilare una scheda elettorale. Che poi quella scheda vada a eleggere razzisti, suprematisti e fascisti che aborrono i principi democratici, sappiamo che alla fine non scalfirà la reputazione di Israele nei nostri media main stream, Esattamente come non l’hanno scalfita 75 anni di operazioni criminali, spaventosamente criminali, che quello Stato ha costantemente commesso contro il popolo palestinese.
Mentre scriviamo, a Tel Aviv, Haifa e in alcune città minori, sono scesi in piazza 130.000 manifestanti, quasi il doppio della settimana scorsa, manifestanti che gridano slogan contro la “dittatura dei criminali”, che protestano contro le riforme antidemocratiche del governo, ovvero le norme che portano allo svuotamento di potere della Corte Suprema e del suo ruolo di garante legale, concentrando in un unico organismo i tre poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario – la cui divisione definisce l’impianto istituzionale degli stati democratici. Per motivi editoriali non abbiamo lo spazio per discettare esaustivamente sulle trovate di infima demagogia di Smotrich o Ben Gvir o Dery che, al contrario, definiscono antidemocratico che le sentenze di 10 giudici possano invalidare le decisioni della maggioranza parlamentare, fingendo di ignorare la funzione di controllo della magistratura. Ma le battute a effetto hanno sempre fatto presa su gran parte delle masse e loro lo sanno.
È comunque interessante vedere tanti manifestanti israeliani – tra cui l’ex ministro Zipni Livni, tristemente famosa per l’operazione criminale Piombo fuso nella Striscia di Gaza, nonché agente del Mossad – convinti anch’essi di essere espressione di un paese democratico che solo oggi rischia di perdere la sua preziosa democrazia. Vederli scendere in piazza a difesa di quella Corte Suprema che, per esempio, in una sentenza sulle “regole d’ingaggio” dell’esercito israeliano contro la Grande Marcia del Ritorno di Gaza, quattro anni fa stabilì che l’esercito, compresi i cecchini, cioè gli assassini a sangue freddo di manifestanti inermi, si era attenuto ai “princìpi di necessità e proporzionalità”.
Chi scrive ha partecipato a 26 venerdì di quelle marce settimanali in cui sono stati assassinati 214 palestinesi disarmati, compresi bambini di pochi anni, e ferite migliaia di partecipanti causando un numero elevatissimo di giovani invalidi visto che l’uso dei proiettili ad espansione (vietati per tutti ma non per Israele) frantumava le ossa portando all’amputazione degli arti colpiti. Ma l’Alta Corte stabilì che nel rapporto tra manifestanti palestinesi inermi che invocavano il rispetto della Risoluzione ONU 194 e assassini israeliani professionali, era rispettato il principio di proporzionalità. I nostri grandi media, quelli che ora si strappano le vesti per la democrazia improvvisamente messa in pericolo dall’estrema destra, non battevano ciglio. In fondo si trattava solo di martiri palestinesi, come quelli, ignorati, che quasi quotidianamente, con o senza Netanyahu al potere, vengono assassinati perché disturbano l’occupante, il “democratico” Stato ebraico. Ma, trattandosi di vittime palestinesi, un ampio margine di tolleranza è ed era consentito non solo ai media, ma anche alla Corte Suprema senza che la sua reputazione ne risultasse sminuita.
Tornando ai manifestanti, hanno ragione a protestare contro l’indebolimento dell’organo giudiziario che rappresenta un importante simbolo di quella democrazia “per” gli israeliani doc e che, se svuotato del suo potere, vedrebbe ridurre le loro garanzie costituzionali.
Il primo ministro però, guardando le imponenti manifestazioni se la ride e giocando sulla differenza di numeri tra la piazza e gli elettori, afferma che quelle modifiche sono state votate da milioni di cittadini di fronte ai quali la piazza scompare. Vedremo nei prossimi giorni se riderà ancora visto che l’altro campione di democrazia d’oltre oceano, nonostante l’importante ruolo giocato dalle lobbies ebraiche, pare abbia abbozzato qualche critica.
Guardando ai manifestanti con la lente del popolo sotto occupazione, per quanto si condivida la protesta, non si può non rilevare che questo supremo organo di giustizia non sia altro che la faccia ipocrita di una pseudo democrazia che legalizza l’illegittimità degli abusi e dei crimini israeliani contro i palestinesi.
Quella Corte Suprema alla quale si rivolgono spesso, ingenuamente, anche gli stessi palestinesi per chiedere un giusto (!) giudizio e quindi una condanna degli espropri delle proprie terre da parte di fuorilegge detti coloni ma che, dopo lunghi tempi e alte spese, si ritrovano sentenze come quella della scorsa estate in cui questo organo di “suprema imparzialità” deliberava che una colonia ebraica costruita in Cisgiordania su terre di proprietà privata palestinese era legale, contravvenendo così al diritto internazionale secondo il quale, invece, tale sopruso costituisce un crimine di guerra!
E che dire della sentenza che umiliava le illusioni di palestinesi con cittadinanza israeliana, ovvero invasi e occupati nelle loro case nel ”48, che erano ricorsi a tale supremo organo di giustizia per reclamare il loro diritto a non essere privati della cittadinanza e ritrovarsi, per tutta risposta, una sentenza che riteneva giusta quella privazione “se Israele li aveva considerati sleali”!
Ponendoci, per quanto possibile, come osservatori imparziali, non possiamo non rilevare che la legge di riforma giudiziaria (un po’ Cicero pro domo sua per Netanyahu) e il programma iper-reazionario del neo-governo di estrema destra, hanno giustamente terrorizzato quella parte di elettorato israeliano definita liberale o, più precisamente, sionista-liberale. Quella che, un po’ come la tanto osannata democrazia ateniese, considera la democrazia come un bene destinato agli eletti e che, se viene a mancare, si spegne quella stella polare che guida verso la civiltà. Quella componente sociale sicuramente progressista che però – come nella decantata Atene dove i meteci, gli schiavi, le donne non rientravano tra i soggetti presi in considerazione – si dimentica sempre che i diritti dei palestinesi sono regolarmente violati, anche con la benedizione del loro simbolo di giustizia suprema; si dimentica che i palestinesi vengono assassinati quasi ogni giorno per mano dei soldati del loro democratico esercito detto “di difesa” o, sempre più spesso, anche da coloni regolarmente impuniti; si dimentica che case e scuole palestinesi vengono quasi quotidianamente rase al suolo e resta nella imperturbabile indifferenza che sembra spettare, per nascita, ai cittadini “doc” del “democratico” Stato di Israele.
Dov’erano questi cittadini democratici quando la Knesset approvava “la legge fondamentale del 19 luglio 2018” che consacra come unici titolari del diritto di essere israeliani a pieno titolo e, quindi, con pienezza di diritti, solo gli ebrei israeliani in quanto ebrei ? Per onestà intellettuale dobbiamo rilevare l’eccezione alla regola, che in questo caso è rappresentata da alcune organizzazioni israeliane per i diritti umani a cui va tutto il nostro rispetto e, ovviamente, tutto il disprezzo dei governi israeliani, compresi quelli passati.
Non abbiamo lo spazio per sviluppare l’aberrazione razzista e antidemocratica di quella “legge fondamentale” ma ogni lettore, se vorrà, potrà approfondire autonomamente le proprie conoscenze e trarre le proprie conclusioni.
Può darsi che quando quest’articolo andrà in stampa il sesto governo Netanyahu sarà caduto perché l’estromissione di Ayre Dery, voluta dalla Corte Suprema, non permetterà al governo di andare avanti, ma può anche darsi che Dery, come vero “uomo d’onore” che si rispetti, saprà vincere e restare al suo posto di ministro. Israele offre sempre sorprese!
Comunque andrà a finire sappiamo che i titoli che già leggiamo nella nostra stampa “progressista”, quali “la pace si allontana perché l’estrema destra è al governo” sono totalmente fuorvianti. La pace senza il ritiro di Israele dai territori illegalmente occupati e senza la fine dell’apartheid non è possibile e nessun governo israeliano, da Ben Gurion a Netanyahu, di qualunque sfumatura politica fosse, ha mai voluto la pace bensì, con tecniche e strategie diverse, tutti hanno sempre portato avanti l’obiettivo previsto dal “Piano Dalet”, elaborato nel 1948 dall’Haganah, l’organizzazione paramilitare ebraica operante in Palestina durante il mandato britannico:: l’annessione della Palestina. E possibilmente senza i palestinesi.
La resistenza palestinese questo lo sa, ma i nostri media sembrano ignorarlo e, per sentirsi a posto con la coscienza e col diktat dei loro datori di lavoro, quella resistenza la chiamano terrorismo.